Lettera della mamma di un "piccolo eroe"
Immagino, quanto per voi ascoltatori e volontari, sia arduo il compito di vedere, udire, venire a conoscenza che ci sono malattie maledettamente “sgraziate” che colpiscono senza pietà le persone e i cari a loro legati da un profondo e sano amore. Un amore genuino e puro che segue e assiste, l’evoluzione inesorabile di una signora sconosciuta e arrogante a cui, spesso non si può neanche dare un nome. Se poi si aggiunge che il soggetto colpito, è bambino, tale “mansione” risulta pressoché assurda. Eppure è proprio l“assurdo”, che si articola in una vera e propria missione. Ho deciso di titolare questa lettera “Unicamente Matteo”, per portare più in alto possibile, il nome del mio piccolo eroe, preceduto, da quel che considero l’unico attributo in grado di spiegare, anche in modo immensamente approssimativo, chi sia Matteo. Unico, è questo l’epiteto adeguato. A scrivervi, è una piccola donna di 23 anni, divenuta la mamma di Matteo, 21 mesi fa, ed è proprio di lui che vi voglio parlare. La mia esigenza, oltre alla mia volontà, di farvi conoscere la storia di questo piccolo bimbo, e della sua malattia.
La nascita di Matteo fu un momento di grande gioia. In me, si innescò una nuova sensazione, la completezza. Come se la vita vera fosse cominciata da quel giorno, mentre fra le braccia stringevo per la prima volta il mio bambino, continuando a ripetere tra me “ora sono mamma”.
Penso che la parola “mamma” sia un titolo regale, il maggiore, a cui una donna possa ambire. Immediatamente cominciarono, i progetti della mia vita insieme a lui, brutalmente stroncati un mese e mezzo dopo con la scoperta di colei che oggi giorno è divenuta la nostra nemica quotidiana: l’atrofia muscolare e spinale. Malattia, che brutta parola da scrivere, pensiamo quanto possa essere ancor più difficile accettarla , soprattutto se riguarda proprio il tuo bambino. Fu confermata il giorno in cui Matteo compì il suo secondo mese di vita. Ricordo le parole esatte utilizzate dalla neurologa “Signorina si tratta di atrofia muscolare e spinale, di primo tipo, data la precocità della sua manifestazione”. Ero convintissima che di qualunque cosa si trattasse, a quella strana parola, a me totalmente sconosciuta, ne conseguisse un rimedio.
Le mie certezze però, furono ben presto incrinate dalla dottoressa che precisò l’inesistenza di una cura. La mia domanda successiva fu scontata, ma necessaria: “Matteo rischia la vita?” Il si che ne seguì, produsse in me un dolore forte, dritto al cuore. Il desiderio irrefrenabile di piangere, di urlare, con la consapevolezza di non poterlo fare, perché Matteo era lì, ignaro, che mi guardava sorridendo. Ma dopo aver provato a trattenere l’emozione, scappai, forse perché era giusto, forse perché, in quel momento fui una vera vigliacca.
Dovevo allontanarmi, anche solo qualche minuto, da quella stanza di ospedale, da quelle quattro mura che nel giro di pochi secondi si erano trasformati nel mio inferno privato, ma soprattutto, scappai dalla malattia. Corsi talmente tanto che in maniera puramente casuale mi ritrovai davanti alla cappella dell’ospedale dove cercai forza nella fede. Da quel giorno cominciò il corso della malattia di mio figlio. Ci dissero che la nostra vita sarebbe cambiata, e che il cammino non sarebbe stato per niente facile. Non eravamo affatto preparati su ciò a cui stavamo andando incontro.
Un giorno, con tutta la delicatezza possibile, una dottoressa del reparto mi preannunciò una scelta che un giorno avrei dovuto prendere in merito alla vita di Matteo: l’intubazione. Ma Matteo, mi dicevo, aveva ottimi parametri e sembrava deglutire senza difficoltà. E ciò faceva crescere in me un sentimento che non avevo mai provato: l’illusione. L’illusione che in realtà quella malattia non si celasse nel sangue di mio figlio, e che prima o poi ne saremmo usciti fuori. Comunque tornammo a casa, straziati, soli e disorientati: la malattia c’era e non c’era.
Matteo degenerò presto e quella scelta non tardò ad arrivare. Autorizzai la tracheotomia, perché volli dargli una seconda speranza di vita. Fui dell’idea che nella vita tutto può accadere, e la mia illusione, che coincide con la mia speranza, è che le cose cambino per Matteo e per tutti quei bambini che soffrono.
Abbiamo visto tanti, troppi bambini andare via, nel corso delle nostre degenze. Abbiamo veduto genitori pregare, sperare e poi arrendersi al destino che aveva fatto dei loro bimbi dei piccoli angeli. Ho paura. E non solo ho paura, ma ho anche il cuore colmo e stufo di vedere negli occhi dei bambini la sofferenza che li travolge senza compassione.
Dalla tracheotomia sono passati esattamente diciotto mesi. Infermieri e dottori del reparto ci indirizzarono subito verso una gestione autonoma e ottimale sia della tracheo stessa, che verso ogni cosa relativa a un bambino ventilato. In tutta sincerità affermo senza provarne vergogna, che ho avuto paura a gestire Matteo, e nonostante lo accudisca ogni giorno, il timore non è mai cessato.
E’ la preoccupazione specifica che risiede nella paura di sbagliare, di fargli del male, di non essere in grado, ecco è proprio la fobia di commettere errori a spese di mio figlio. Mentre aspiro Matteo, so di procurargli un fastidio, seppure lo liberi dalle secrezioni. Ogni volta che incrocio il suo sguardo mentre piange, mi sento una sciocca. Lo aspiro perché devo, per amore, per aiutarlo, ma dall’altra parte è come se in quel momento gli stessi dando uno schiaffo.
Così come quando opero con la macchina della tosse e le varie medicazioni. Ho adottato un sistema: fin dalla nascita, la nostra camera , il suo mondo, i suoi spazi sono sempre pieni di colori, di allegria, di musica, così che lui ha costantemente davanti agli occhi tutto quel che c’è di bello e di positivo. Quando si effettua la macchina della tosse, mimo l’azione sui suoi pupazzi affinché lui possa viverlo come un’azione giocosa e normale. Ad oggi non abbiamo un’infermiera a casa, e qualunque problema si presenti lo affrontiamo mia mamma ed io.
Viviamo alla giornata, ed ogni difficoltà la prendiamo come una sfida.
Nulla è lasciato al caso, perché sappiamo che ogni cosa è di fondamentale importanza per Matteo. In noi è subentrato un maggiore senso di consapevolezza delle nostre vite, andiamo avanti con il cuore e razionalizziamo con la testa. Una battaglia quotidiana, coadiuvata dalla speranza che scandisce il tempo.
Amo mio figlio , e oltre l’amore che gli dono e l’assistenza, non so veramente come proteggerlo. Molte persone mi chiedono dove prendo tutta questa forza, la risposta è semplice, da lui! Da tutti i bambini che ho veduto andare via, e da quelli che sono ancora qui sulla terra a combattere la loro battaglia. Bambini che lottano per conquistarsi un pezzo di esistenza. La mia speranza e la mia illusione che Matteo potrà giocare , calciare, camminare, nuotare , mangiare per bocca, che potrà corrermi incontro e dirmi “ti voglio bene mamma” .
A volte l’illusione è una nemica molto brutta, ma è anche la spinta per andare avanti con lucidità e forza. A volte avrei voglia di non credere più nei sogni, nella vita … ma poi mi volto e guardo la mia creatura che sorride sempre, non smette mai di sorridere alla vita , è sempre fiducioso in sé stesso e in noi, si , in tutti noi che lo consideriamo un piccolo eroe … che dire … è unicamente Matteo!!!.