Ciao! Mi chiamo Mattia e sono un po’ di mesi che sono venuto al mondo, quanti non lo so di preciso, perché non so contare ma ogni tanto mi pare di capire 18, si dice così?
Non è molto lo so, devo ancora imparare a parlare, qualche volta mi sforzo, ma, uffa!, dalla mia bocca non esce nulla! Una volta volevo fare un capriccio, come ho sentito fare benissimo da mia sorella, ma…niente! Come si farà a piangere? Sì, so che si dice così (la mia mamma quante volte ha pianto!) Ma perché?
Qualche volta la sentivo nell’altra stanza, poi quando veniva da me non lo faceva più. Eh , eh, ma io l’avevo capito! Lo capivo dai suoi occhi, mamma mia quanto sono belli!! La mia mamma sta con me giorno e notte, ogni tanto mi lascia con qualcuno e scompare: oh, poi ritorna subito, anche questo ho capito: devo essere un tipo proprio interessante visto che lei vuole stare sempre con me! Ah, sentite questa. Molte volte avvicina la sua faccia alla mia e prova a respirare con me, io non so bene come si fa, ma sembra che glielo debba insegnare io! Bo?! Mi parla (quanto mi parla la mia mamma!), ride, si rabbuia, piange e torna a sorridere. Mi racconta tantissimo della mia sorellina, dice che sta a qualche centinaia di chilometri da noi, che sta affrontando i suoi primi giorni di scuola, che qualche volta ha paura, e che vorrebbe anche lei stare un po’ con la mamma.. Ma perché non possiamo stare più vicini? Questa bene non l’ho ancora capita! Dicono che ospedali attrezzati non ce ne sono vicino casa. A me dispiace, vorrei rincuorarla, dirle che ci sono io, che può contare su di me e che non si preoccupasse: appena imparo a parlare convincerò quelli vestiti di bianco a farci tornare a casa! Tutti insieme con papà!
Di che stavo parlando? Ah, sì, di mamma. Io cerco sempre il suo sguardo, perché ha gli occhi celesti la mia mamma, come quel coso che sta in alto, come si chiama quello che vedo dalla finestra… ah sì, CIELO!
Ecco così ha gli occhi, belli vero?! Qualche volta sono stanchi, io lo so, ma il naso ce l’ha dritto e fiero, come quello delle principesse delle favole che mi racconta, poi le labbra: sono sempre morbide, anche quando parla alle donne e agli uomini vestiti di bianco. Ah, sapete perché non li sopporto quelli vestiti di bianco? Perché qualche volta mi fanno male! Ho capito che è stato uno di loro a farmi il buchino in gola, pare che è proprio per questo buchino che non posso parlare né piangere. Però la mamma dice che sono stati bravissimi e che se non l’avessero fatto io non avrei più visto la mia mamma, il mio papà e mia sorella!
Allora ho pensato che non devono essere proprio cattivi, lo vedo anche da come parlano alla mia mamma. Una di loro è proprio bella, è allegra e il suo sorriso è contagioso. Credo mi abbia insegnato lei a sorridere. Le sento dire che per la mia età sembro un piccolo ometto. Ehi!, vi svelo un segreto, ma non ditelo a nessuno: se comunque trovo quello che mi ha fatto il buchino un calcetto di striscio glielo do uguale!
Oh! Bussano alla porta, entra una signorina, non è vestita di bianco, si presenta, dice che è una volontaria (che strana parola, che significherà?). Che sarà venuta a fare? Non ho capito, non l’ho mai vista. Io sono sempre stato diffidente verso gli estranei. Chi è questa intrusa che si presenta, senza essere stata chiamata e invade la mia intimità con mamma? Eppure da una decina di minuti conversano come due vecchie amiche, ed io sono il protagonista dei loro coinvolgente discorso. La straniera mi tiene la mano e ascolta assorta la mia vicenda. Boh!?
Eh sì perché ancora non vi ho detto, che io sono un bambino, nato due volte. Dovete riconoscermi, una certa tenacia e una tempra non indifferente. Dopo due settimane che ero nato i miei bronchi hanno deciso di dichiarare sciopero generale. Yuhu!, di corsa all’ospedale! Non c’è da preoccuparsi ripetono ai miei genitori, mentre percorrono i 350 km più lunghi della loro vita, eppure qualcosa va storto, in modo inspiegabile.
Dopo 3 giorni dal mio arrivo in questo luogo bizzarro pieno di letti e omini bianchi, il mio cuore si arresta e non ne vuole sapere di rimettersi in moto. Dieci, venti, trenta minuti, senza che ci sia un battito. Al quarantacinquesimo minuto, riemergo dal buco nero nel quale, ero caduto. Sono trascorsi venti giorni dal secondo giorno della mia nascita, e il mio recupero è quasi totale.
Mi sono trasformato nella mascotte degli uomini e donne vestite di bianco, mi coccolano, mi osservano come mi vedessero per la prima volta. Continuo ad interrogarmi su chi mi sia stato accanto in quegli interminabili quarantacinque minuti. Cerco di ricordare, mi sforzo, ma la mia mente è bloccata. Solo un profumo di pane mi pervade, a volte, all’improvviso.
Deve essere proprio buono!! Mentre ascolto i racconti di mia madre, mentre aspetto l’arrivo di mio padre, la carezza scherzosa di mia sorella, l’abbraccio maldestro di Luigi, mio cugino, mi sento dentro una nuvola di intenso profumo di pane.